"Mi allontano leggermente e guardo meglio. Ora posso vedere anche me, seduta lì nel mezzo. Sembriamo davvero un gruppo di ragazzi. Eppure non siamo certo giovani, abbiamo tutti i capelli bianchi e tante rughe sul viso. Il fatto è che ci comportiamo come ragazzi, continuiamo a pensare come se avessimo tutto il tempo davanti. E ci innamoriamo, ancora. Mi viene in mente una bellissima definizione della gioventù, letta in un giorno della mia vita passata, quando ero già abbastanza avanti con gli anni ma piuttosto adolescente nell'età. La gioventù - diceva - non è una fase temporale della vita. L'acquisizione della gioventù, in senso profondo, è un processo lungo ed impegnativo. Non si nasce giovani in questo senso ma lo si può cominciare a diventare decidendo di non ristagnare, di non resistere al cambiamento, di restare aperti a nuove possibilità. "E' il potere dello spirito che rifiuta di soccombere all'autocompiacimento e continua a lottare." Ecco cosa ci unisce, questo è il filo conduttore delle nostre esistenze qui..."
da ReEsistenze, un anno al faro. www.ilmiolibro.it lolatorres@alice.it
....Sento il bisogno di Bellezza. E’ da quando è iniziato il terremoto che ovunque io vada porto nella mia borsa un libro di poesie. Pessoa, Celan, Rilke, Montale, Pasolini, Pavese, Dikinson, Merini, Gualtieri , Weil… sono aria che alimenta i momenti del quotidiano, quando il fare si arrende al sentire, quando mi fermo nell’attimo per riconnettermi alla Vita. Dopo le macerie, dopo i terremoti “interiori” e l’attuale stato di incertezza esistenziale, ho trovato un luogo dove poter riposare, riconciliandomi con il Tutto. E’ il luogo della Poesia, un luogo di ringraziamento, una preghiera laica in connessione con la Vita. E’ il luogo della Bellezza e del contatto più intimo, il luogo dove posso lasciare che le lacrime lavino la paura per rigenerarmi, anche ridere, per ricominciare. Può sembrare frivolo in un momento di così tanta angoscia, ma noi “portatori sani di speranza” siamo un po’ folli e un po’ folletti. Amiamo scendere in profondità per poi riprendere quota, arrampicandoci sui tralicci, per superare i muri e vedere oltre. Perché dopo tanto dolore c’è bisogno di Bellezza, quella fissata sulle pagine sicure, le pagine che toccano il luogo più intimo e fragile del nostro cuore. E c’è bisogno di condividerla questa Bellezza, con coraggio, perché alcune persone si spaventano davanti al tentativo di chi cerca di incoraggiarle! E’ una risposta naturale per chi vive nella paura e nel dolore. Anche io ho paura ma la paura non può fermare la vita! E la vita deve essere alimentata con un fuoco che arde costantemente. La vita e l’esistenza hanno bisogno di Bellezza e leggerezza. Hanno bisogno di luoghi dove riposare lo sguardo per riprendere e reagire agli eventi. Ecco perché la poesia, il luogo della solitudine e della condivisione, dell’intimità e dell’emozione della chiarezza e della speranza. Come per l’ascolto, ecco un altro balsamo per accarezzare le ferite in attesa della risalita. Se la Vita mi vorrà viva, non sprecherò un solo giorno lasciandomi travolgere dalla paura. E nel vivere mi nutrirò di Bellezza e di Poesia per me e per le persone che vorranno condividerla con me.
Frammento tratto dal blog: laviadels.blogspot.it _ di Anna Perna annaperna74@gmail.com
Per certi versi forse un fondo di verità in questo c’è perché, l’avvicinarsi di quella meta evidenzia una sempre maggiore stanchezza nei confronti dei meccanismi della vita che sembrerebbe spazzare via qualsiasi determinazione verso qualsiasi obiettivo. L’esperienza però mi aveva insegnato che le ambizioni quelle vere resistono a dispetto del trascorrere del tempo e non cambiano tanto a 20 quanto a 40 anni.
[...]Una volta, al largo di Amburgo, pensai che fosse arrivata la fine del mondo. All’arrivo in Europa fummo accolti da una bufera senza eguali, con mare forza 12. La nave ballava in balìa del vento e delle onde e quel pomeriggio rimase a lungo impresso nella mia mente. Mi trovavo da solo in cabina, riposavo accucciato sulla mia poltrona, quando tutto cominciò a precipitare per terra: libri, flaconi, oggetti, le ante dell’armadio si aprirono, la porta del bagno cominciò a sbattere, anche la mia poltrona iniziò a oscillare. Osservai i muri e il tetto, temevo si spaccassero, tanto si muovevano vorticosamente intorno a me. Poco dopo mi sentii male e andai a vomitare in un angolo della cabina. Salii sul letto, che essendo fissato alla parete, era l’unica cosa che non poteva cadere o spostarsi. In queste circostanze la mia mamma lavorava ancora di più, doveva sorvegliare il personale, occuparsi dei passeggeri, chiamare il dottore per quelli che stavano male (la maggior parte erano anziani e pieni di acciacchi). Uno di loro rischiò di morire per un problema al cuore, un altro cadde rovinosamente fratturandosi il braccio. Per fortuna il mio angelo non soffriva il mal di mare, andava su e giù senza sosta, evitando prudentemente di prendere l’ascensore. Ogni tanto passava in cabina a trovarmi: «Tesoromio stai tranquillo, torno presto, devo occuparmi dei passeggeri, tu dormi e non aver paura, d’accordo?» Mi accarezzava dolcemente, per infondermi coraggio. Scoprì che avevo vomitato, ma non mi rimproverò, pulì e mi disse in un soffio: «Dolcezza, soffri sempre il mal di mare eh? Povero piccolo, non ti muovere, resta a letto, evita di bere se puoi. Ci vediamo stasera, ti giuro che ti porterò via da quest’inferno». Mi baciò lievemente sulla testa, io chiusi gli occhi cercando di addormentarmi, ma avevo lo stomaco in subbuglio. Il tempo peggiorava, la luce non filtrava più dall’oblò, era scesa la sera. Cercai di riposare sognando il giorno in cui avremmo lasciato la nave. Dopo un tempo infinito, lei arrivò, si tolse le scarpe e si distese sul letto, al mio fianco, rimanendo in divisa: «Sono distrutta, i passeggeri stanno tutti male. Sembra che la nave voglia capovolgersi da un momento all’altro, c’è una tempesta là fuori. E tu come stai? Ti andrebbe di mangiare qualcosa? Guarda, ti ho portato una bistecchina». La guardai disgustato per farle capire che non avevo appe-tito. «Amore mio, ascoltami attentamente. Stanotte legherò il tuo guinzaglio al mio giubbotto di salvataggio, che indosserò per precauzione. Non dormiremo comodi, ma è necessario, e se ci fosse un naufragio, tu non potrai annegare perché ti sistemerò dentro il mio zainetto. Starai sulle mie spalle perché se dobbiamo salvarci, ho bisogno di avere le mani libere. In questo caso ci trasferiremo sulle scialuppe di salvataggio, che saranno calate in mare. Non sarà molto confortevole, quindi fai il bravo, niente capricci, d’accordo?» La guardai sbalordito pensando a quanto fosse coraggiosa. Accanto a lei nulla poteva impaurirmi, neanche un naufragio.[...] Frammento tratto dal libro "Tesoromio Dos Santos, il gatto venuto dal Brasile", in vendita online nella vetrina de ilmiolibro.it http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=670637
La poesia è morta e io Le tengo ancora la mano - necrofilia o laudare Tempores actes, chissà - la mania letteraria non si sfalderà tra i vermi... Il miasma dei vati Decompone ogni immagine E le parole saranno Mosche affama e fuochi, Fluttuanti fuochi fatui Sull'intellettualismo immortale. Leva alle stelle la mano Tua di alabastro perfetto, Vergine Sposa Cadavere! E porgi la tua coppa Di champagne del peccato A tutti noi lunatici Tristi miopi e frustrati, Accostala alle nostre labbra, Delicatamente... - non è poi così facile bere Con la camicia di forza.
Da "Greenwitch Village Ice Tea" (Youcanprint), di Costanza De Cillia.
Di solito, le persone che stanno attente alla propria salute, quelle che controllano che non ci siano conservanti in ogni alimento, mangiano grissini integrali, yogurt bianchi e carote lesse, vanno a letto presto e presto si risvegliano per andare a fare jogging (perché il jogging fa bene alla salute), non fumano e non bevono né alcol né caffè, muoiono schiacciate da un tir a sedici ruote che trasporta prodotti dietetici, la mattina presto, mentre sono a fare jogging, perché l'autista aveva sonno.
"Allora la sfortuna esiste", da "Io, Carver e il taccuino di Chatwin" (raccolta di racconti pubblicata nel 2012 per Bookolico: http://www.bookolico.com/book/details/30)
“Vuoi dire che pensi ci possa essere vita dappertutto?”, commentò. Dylan era convinto delle sue teorie e che un giorno sarebbero state dimostrate. “Teoricamente noi definiamo la vita utilizzando i nostri parametri, ma potrebbero esserci diversi livelli di quella che noi definiamo vita. Per cui, sì, credo possa esserci un po’ dappertutto” “Sulla Luna è stato appurato il contrario...”, lo interruppe Tom. “Certo”, disse Dylan trattenendo un gesto di stizza ”ma come dicevo prima, noi guardiamo alla vita secondo il nostro, limitato punto di vista, naturalmente. Ma bisogna guardare il tutto anche, per esempio, nella quarta dimensione. Magari non c’è vita sulla Luna adesso. Nessuno ci dice che un giorno non ci possa arrivare...”, concluse, sottolineando la frase con un gesto della mano. “Già, magari a bordo di navette...”, fu il commento ironico di Tom. “Perchè no?”, disse Dylan, interamente serio. “Se nel futuro l’uomo si insediasse permanentemente sulla Luna? Non sarebbe vita, quella? E se, insieme a noi, portassimo altre forme di vita, tipo batteri, e che una volta lassù si evolvessero in qualcosa adatto a viverci?”. Pausa. “Non sarebbe vita, anche quella?” Tom lo guardò perplesso, convinto che quell’affermazione non avesse senso. “Lo sarebbe per definizione, sicuramente, ma non sarebbe nata in modo naturale, no? L’avremmo portata noi, in fin dei conti...”, ribattè. Dylan fece un respiro per prendere fiato, un po’ spazientito perché era sicuro che l’altro non avesse colto il punto “Sulla Terra i semi delle piante vengono spesso portati dal vento, dagli uccelli o dagli insetti... in posti in cui, altrimenti, non ci sarebbero mai arrivati...” “Ma le api non hanno dovuto imparare a costruire astronavi per fare il loro lavoro...”, rispose, in tono rassegnato. [...] Il biologo continuò senza battere ciglio nella sua disquisizione “Le api hanno imparato a volare, si sono evolute per quello. E noi abbiamo imparato la matematica e a costruire navi spaziali... ci siamo evoluti per questo”, disse, facendo un ampio gesto con entrambe le braccia, indicando la nave che li circondava, a sottolineare la correttezza della sua analisi. Tom alzò le mani, in segno di resa “Già, speriamo che tu abbia ragione, altrimenti questo viaggio potrebbe essere estremamente breve. Non ho proprio voglia di… estinguermi”
Tratto da "Nuvole Rosse" di Danilo Mirizzi http://ilmiolibro.kataweb.it/categorie.asp?act=ricerca&genere=tutte&searchInput=nuvole+rosse&scelgoricerca=in_vetrina
"Se davvero devi continuare ad essere così crudele, allora è meglio che tu non venga. Meglio che tu rimanga da qualche parte, per conto tuo." Sua madre, o suo padre, gli avevano detto così. Poi l'avevano salutato con un frettoloso buffetto sulla guancia, ed erano usciti, per non tornare mai più - non da lui: non l'avrebbero mai più trovato. Non come l'avevano conosciuto fino a quel momento. Doc allora era ancora un bambino, e aveva capito di essere un mostro, disumano.
Quella sera, quando all'Opera davano il "Der fliegende Holländer", Florian morì, e Doc apparve. Quando la porta gli sbattè davanti, e una lingua di vento gelido gli leccò il viso, quel bambino crudele girò le chiavi in tutte le serrature, chiuse gli scuri, e andò a dormire. Da quella sera non avrebbe più visto la luce.
Si barricò nell'ombra, e divenne sempre più bianco, fino a quando i dottori non smisero di tormentarlo. Non uscì di casa, se non quando vi fu costretto; non parlò, se non quando qualcosa gli venne chiesto; non rise, non gridò e non pianse, rimase freddo sulla soglia, a guardare di tanto in tanto dallo spioncino, quando non aveva alcunché da fare, il mondo reale che si affannava inutilmente a vorticare. Divenne Doc al 100% quando per leggere ebbe bisogno degli occhiali, e fu da quel momento che si nascose davvero, celando i suoi occhi, perforanti, bellissimi, del colore dell'algido cielo - e altrettanto distanti e distaccati dagli altri - dietro a lenti altrettanto dure e taglienti, come diamanti.
Quando i suoi genitori lo lasciarono a casa ad aspettare, mentre loro andavano a teatro, in un bagno di folla a farsi ammirare, Doc capì che non c'era speranza, per nulla. Non soffrì: ne prese atto, e accolse quel fatto come un qualsiasi altro dato. Sprangò la porta, chiuse le finestre e le tende, fece a pezzi uno specchio e si addormentò di sopra, in veranda. Quello specchio ormai distrutto non l'aveva mai veramente riflesso.
Mentre Doc assiderava il compianto Florian, si poteva sentire il suo cuore creparsi e scricchiolare. Le bambole di porcellana lo guardavano mute dagli scaffali, come sempre belle e serenamente imperturbabili.
Solo quando sentì al telegiornale di una strana povera ragazza, che si era tagliata poco prima le vene nella farmacia di un supermercato, Doc decise di uscire. Prese solo i suoi soldi, e il cappotto, e in un tour degli ospedali trovò Munchies, addormentata con un po' di piastrine in meno nel Pronto Soccorso del Ghetto - così gli snob del suo palazzo chiamavano il quartiere del manicomio vecchio. Munchies conobbe Doc quando riprese conoscenza, e Doc riprese vita quando conobbe Münchhausen - d'altronde non è cosa comune, incontrare una dama che si era salvata dall'annegare in una pozza tirandosi per i capelli. La pozza, a quando dicono, era calda e rossastra.
Il giorno in cui i suoi gli chiesero una tregua, Doc accettò di rinchiudersi, e lasciar loro un po' di pace. Gettò via le ortiche, i documenti falsi e le armi di cioccolato, e concesse alla vita degli altri del tempo senza di lui. Quel giorno in cui scomparve divenne l'eternità intera, e Doc non riuscì più a voler tornare fuori. Non era il mondo in sé, lo splendido Creato - era chi lo inquinava, chi lo abitava, a turbarlo. Doc non voleva avvicinarsi, né essere avvicinato, dall'animale sociale che aveva rifiutato. Dal giorno di vacanza, alla vacanza perpetua. Tutte le volte che gli accadde di uscire, Doc si stordì, sempre.
> Frammento tra le schegge di insano amore a puntate dedicate alla morbosa collaborazione tra Doc e Münchhausen, sul blog High Underground Priestess di Twisted White Snow.
"Mi allontano leggermente e guardo meglio. Ora posso vedere anche me, seduta lì nel mezzo. Sembriamo davvero un gruppo di ragazzi. Eppure non siamo certo giovani, abbiamo tutti i capelli bianchi e tante rughe sul viso.
RispondiEliminaIl fatto è che ci comportiamo come ragazzi, continuiamo a pensare come se avessimo tutto il tempo davanti. E ci innamoriamo, ancora.
Mi viene in mente una bellissima definizione della gioventù, letta in un giorno della mia vita passata, quando ero già abbastanza avanti con gli anni ma piuttosto adolescente nell'età.
La gioventù - diceva - non è una fase temporale della vita. L'acquisizione della gioventù, in senso profondo, è un processo lungo ed impegnativo. Non si nasce giovani in questo senso ma lo si può cominciare a diventare decidendo di non ristagnare, di non resistere al cambiamento, di restare aperti a nuove possibilità. "E' il potere dello spirito che rifiuta di soccombere all'autocompiacimento e continua a lottare."
Ecco cosa ci unisce, questo è il filo conduttore delle nostre esistenze qui..."
da ReEsistenze, un anno al faro.
www.ilmiolibro.it
lolatorres@alice.it
Grazie! Questo brano che hai inserito dal tuo "ReEsistenze" credo spingerà molti di noi a leggerti a fondo e a ritrovarcisi con piacere ;-)
RispondiElimina....Sento il bisogno di Bellezza. E’ da quando è iniziato il terremoto che ovunque io vada porto nella mia borsa un libro di poesie. Pessoa, Celan, Rilke, Montale, Pasolini, Pavese, Dikinson, Merini, Gualtieri , Weil… sono aria che alimenta i momenti del quotidiano, quando il fare si arrende al sentire, quando mi fermo nell’attimo per riconnettermi alla Vita.
RispondiEliminaDopo le macerie, dopo i terremoti “interiori” e l’attuale stato di incertezza esistenziale, ho trovato un luogo dove poter riposare, riconciliandomi con il Tutto. E’ il luogo della Poesia, un luogo di ringraziamento, una preghiera laica in connessione con la Vita.
E’ il luogo della Bellezza e del contatto più intimo, il luogo dove posso lasciare che le lacrime lavino la paura per rigenerarmi, anche ridere, per ricominciare.
Può sembrare frivolo in un momento di così tanta angoscia, ma noi “portatori sani di speranza” siamo un po’ folli e un po’ folletti. Amiamo scendere in profondità per poi riprendere quota, arrampicandoci sui tralicci, per superare i muri e vedere oltre.
Perché dopo tanto dolore c’è bisogno di Bellezza, quella fissata sulle pagine sicure, le pagine che toccano il luogo più intimo e fragile del nostro cuore. E c’è bisogno di condividerla questa Bellezza, con coraggio, perché alcune persone si spaventano davanti al tentativo di chi cerca di incoraggiarle! E’ una risposta naturale per chi vive nella paura e nel dolore.
Anche io ho paura ma la paura non può fermare la vita! E la vita deve essere alimentata con un fuoco che arde costantemente. La vita e l’esistenza hanno bisogno di Bellezza e leggerezza. Hanno bisogno di luoghi dove riposare lo sguardo per riprendere e reagire agli eventi.
Ecco perché la poesia, il luogo della solitudine e della condivisione, dell’intimità e dell’emozione della chiarezza e della speranza. Come per l’ascolto, ecco un altro balsamo per accarezzare le ferite in attesa della risalita. Se la Vita mi vorrà viva, non sprecherò un solo giorno lasciandomi travolgere dalla paura. E nel vivere mi nutrirò di Bellezza e di Poesia per me e per le persone che vorranno condividerla con me.
Frammento tratto dal blog: laviadels.blogspot.it _ di Anna Perna
annaperna74@gmail.com
Per certi versi forse un fondo di verità in questo c’è perché, l’avvicinarsi di quella meta evidenzia una sempre maggiore stanchezza nei confronti dei meccanismi della vita che sembrerebbe spazzare via qualsiasi determinazione verso qualsiasi obiettivo.
RispondiEliminaL’esperienza però mi aveva insegnato che le ambizioni quelle vere resistono a dispetto del trascorrere del tempo e non cambiano tanto a 20 quanto a 40 anni.
Atteggiamenti pungenti
RispondiEliminaL'aggressività
abbonda
Chiazze
enormi
di liquami
macchiano il mondo
lasciando unto
su anime
spoglie di cognizione
La meschinità
in essi
lievita
ignorando l'ad avvenir
ma, chi osserva
avvilito
affoga
nell'indifferenza altrui
Aimè, il peggio è il presente
chissà il futuro
autore Salvatore Ambrosino
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina[...]Una volta, al largo di Amburgo, pensai che fosse arrivata la fine del mondo. All’arrivo in Europa fummo accolti da una bufera senza eguali, con mare forza 12. La nave ballava in balìa del vento e delle onde e quel pomeriggio rimase a lungo impresso nella mia mente. Mi trovavo da solo in cabina, riposavo accucciato sulla mia poltrona, quando tutto cominciò a precipitare per terra: libri, flaconi, oggetti, le ante dell’armadio si aprirono, la porta del bagno cominciò a sbattere, anche la mia poltrona iniziò a oscillare. Osservai i muri e il tetto, temevo si spaccassero, tanto si muovevano vorticosamente intorno a me.
RispondiEliminaPoco dopo mi sentii male e andai a vomitare in un angolo della cabina. Salii sul letto, che essendo fissato alla parete, era l’unica cosa che non poteva cadere o spostarsi.
In queste circostanze la mia mamma lavorava ancora di più, doveva sorvegliare il personale, occuparsi dei passeggeri, chiamare il dottore per quelli che stavano male (la maggior parte erano anziani e pieni di acciacchi). Uno di loro rischiò di morire per un problema al cuore, un altro cadde rovinosamente fratturandosi il braccio. Per fortuna il mio angelo non soffriva il mal di mare, andava su e giù senza sosta, evitando prudentemente di prendere l’ascensore. Ogni tanto passava in cabina a trovarmi:
«Tesoromio stai tranquillo, torno presto, devo occuparmi dei passeggeri, tu dormi e non aver paura, d’accordo?»
Mi accarezzava dolcemente, per infondermi coraggio. Scoprì che avevo vomitato, ma non mi rimproverò, pulì e mi disse in un soffio:
«Dolcezza, soffri sempre il mal di mare eh? Povero piccolo, non ti muovere, resta a letto, evita di bere se puoi. Ci vediamo stasera, ti giuro che ti porterò via da quest’inferno».
Mi baciò lievemente sulla testa, io chiusi gli occhi cercando di addormentarmi, ma avevo lo stomaco in subbuglio. Il tempo peggiorava, la luce non filtrava più dall’oblò, era scesa la sera. Cercai di riposare sognando il giorno in cui avremmo lasciato la nave. Dopo un tempo infinito, lei arrivò, si tolse le scarpe e si distese sul letto, al mio fianco, rimanendo in divisa:
«Sono distrutta, i passeggeri stanno tutti male. Sembra che la nave voglia capovolgersi da un momento all’altro, c’è una tempesta là fuori. E tu come stai? Ti andrebbe di mangiare qualcosa? Guarda, ti ho portato una bistecchina».
La guardai disgustato per farle capire che non avevo appe-tito.
«Amore mio, ascoltami attentamente. Stanotte legherò il tuo guinzaglio al mio giubbotto di salvataggio, che indosserò per precauzione. Non dormiremo comodi, ma è necessario, e se ci fosse un naufragio, tu non potrai annegare perché ti sistemerò dentro il mio zainetto. Starai sulle mie spalle perché se dobbiamo salvarci, ho bisogno di avere le mani libere. In questo caso ci trasferiremo sulle scialuppe di salvataggio, che saranno calate in mare. Non sarà molto confortevole, quindi fai il bravo, niente capricci, d’accordo?»
La guardai sbalordito pensando a quanto fosse coraggiosa. Accanto a lei nulla poteva impaurirmi, neanche un naufragio.[...]
Frammento tratto dal libro "Tesoromio Dos Santos, il gatto venuto dal Brasile", in vendita online nella vetrina de ilmiolibro.it http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=670637
Non voglio più credere al cieco fardello,
RispondiEliminache da quel punto io ho dovuto indossare
all'età in cui si ha solo il diritto di volare.
Io spirito libero voglio tornare a galoppare,
scalciare imbizzarrita di fronte alla vita,
voglio succhiare il midollo del tempo
perdendomi nella peculiarità di ogni novità.
Voglio sentire il vento ribelle,
sfiorare il corpo e tutta la pelle.
Voglio tornare di nuovo ad amare,
sentire, fidarsi e lasciarsi andare.
Tratto da "Rinchiusa in una bolla di sapone" di Marco Musso.
http://marcomusso.blogspot.it/2012/07/rinchiusa-in-una-bolla-di-sapone-di.html
Greenwitch village ice Tea
RispondiEliminaLa poesia è morta e io
Le tengo ancora la mano
- necrofilia o laudare
Tempores actes, chissà
- la mania letteraria non si sfalderà tra i vermi...
Il miasma dei vati
Decompone ogni immagine
E le parole saranno
Mosche affama e fuochi,
Fluttuanti fuochi fatui
Sull'intellettualismo immortale.
Leva alle stelle la mano
Tua di alabastro perfetto,
Vergine
Sposa
Cadavere!
E porgi la tua coppa
Di champagne del peccato
A tutti noi lunatici
Tristi miopi e frustrati,
Accostala alle nostre labbra,
Delicatamente...
- non è poi così facile bere
Con la camicia di forza.
Da "Greenwitch Village Ice Tea" (Youcanprint), di Costanza De Cillia.
Di solito, le persone che stanno attente alla propria salute, quelle che controllano che non ci siano conservanti in ogni alimento, mangiano grissini integrali, yogurt bianchi e carote lesse, vanno a letto presto e presto si risvegliano per andare a fare jogging (perché il jogging fa bene alla salute), non fumano e non bevono né alcol né caffè, muoiono schiacciate da un tir a sedici ruote che trasporta prodotti dietetici, la mattina presto, mentre sono a fare jogging, perché l'autista aveva sonno.
RispondiElimina"Allora la sfortuna esiste", da "Io, Carver e il taccuino di Chatwin" (raccolta di racconti pubblicata nel 2012 per Bookolico: http://www.bookolico.com/book/details/30)
Troppo forte!
RispondiEliminaNe aspettiamo altri da quest'ottimo taccuino ancora qui su questi "muri"!
“Vuoi dire che pensi ci possa essere vita dappertutto?”, commentò.
RispondiEliminaDylan era convinto delle sue teorie e che un giorno sarebbero state dimostrate.
“Teoricamente noi definiamo la vita utilizzando i nostri parametri, ma potrebbero esserci diversi livelli di quella che noi definiamo vita. Per cui, sì, credo possa esserci un po’ dappertutto”
“Sulla Luna è stato appurato il contrario...”, lo interruppe Tom.
“Certo”, disse Dylan trattenendo un gesto di stizza ”ma come dicevo prima, noi guardiamo alla vita secondo il nostro, limitato punto di vista, naturalmente. Ma bisogna guardare il tutto anche, per esempio, nella quarta dimensione. Magari non c’è vita sulla Luna adesso. Nessuno ci dice che un giorno non ci possa arrivare...”, concluse, sottolineando la frase con un gesto della mano.
“Già, magari a bordo di navette...”, fu il commento ironico di Tom.
“Perchè no?”, disse Dylan, interamente serio.
“Se nel futuro l’uomo si insediasse permanentemente sulla Luna? Non sarebbe vita, quella? E se, insieme a noi, portassimo altre forme di vita, tipo batteri, e che una volta lassù si evolvessero in qualcosa adatto a viverci?”. Pausa. “Non sarebbe vita, anche quella?”
Tom lo guardò perplesso, convinto che quell’affermazione non avesse senso.
“Lo sarebbe per definizione, sicuramente, ma non sarebbe nata in modo naturale, no? L’avremmo portata noi, in fin dei conti...”, ribattè.
Dylan fece un respiro per prendere fiato, un po’ spazientito perché era sicuro che l’altro non avesse colto il punto “Sulla Terra i semi delle piante vengono spesso portati dal vento, dagli uccelli o dagli insetti... in posti in cui, altrimenti, non ci sarebbero mai arrivati...”
“Ma le api non hanno dovuto imparare a costruire astronavi per fare il loro lavoro...”, rispose, in tono rassegnato. [...]
Il biologo continuò senza battere ciglio nella sua disquisizione “Le api hanno imparato a volare, si sono evolute per quello. E noi abbiamo imparato la matematica e a costruire navi spaziali... ci siamo evoluti per questo”, disse, facendo un ampio gesto con entrambe le braccia, indicando la nave che li circondava, a sottolineare la correttezza della sua analisi.
Tom alzò le mani, in segno di resa “Già, speriamo che tu abbia ragione, altrimenti questo viaggio potrebbe essere estremamente breve. Non ho proprio voglia di… estinguermi”
Tratto da "Nuvole Rosse" di Danilo Mirizzi
http://ilmiolibro.kataweb.it/categorie.asp?act=ricerca&genere=tutte&searchInput=nuvole+rosse&scelgoricerca=in_vetrina
Fuck-off day
RispondiElimina"Se davvero devi continuare ad essere così crudele, allora è meglio che tu non venga. Meglio che tu rimanga da qualche parte, per conto tuo."
Sua madre, o suo padre, gli avevano detto così.
Poi l'avevano salutato con un frettoloso buffetto sulla guancia, ed erano usciti, per non tornare mai più - non da lui: non l'avrebbero mai più trovato.
Non come l'avevano conosciuto fino a quel momento.
Doc allora era ancora un bambino, e aveva capito di essere un mostro, disumano.
Quella sera, quando all'Opera davano il "Der fliegende Holländer", Florian morì, e Doc apparve.
Quando la porta gli sbattè davanti, e una lingua di vento gelido gli leccò il viso, quel bambino crudele girò le chiavi in tutte le serrature, chiuse gli scuri, e andò a dormire.
Da quella sera non avrebbe più visto la luce.
Si barricò nell'ombra, e divenne sempre più bianco, fino a quando i dottori non smisero di tormentarlo.
Non uscì di casa, se non quando vi fu costretto; non parlò, se non quando qualcosa gli venne chiesto; non rise, non gridò e non pianse, rimase freddo sulla soglia, a guardare di tanto in tanto dallo spioncino, quando non aveva alcunché da fare, il mondo reale che si affannava inutilmente a vorticare.
Divenne Doc al 100% quando per leggere ebbe bisogno degli occhiali, e fu da quel momento che si nascose davvero, celando i suoi occhi, perforanti, bellissimi, del colore dell'algido cielo - e altrettanto distanti e distaccati dagli altri - dietro a lenti altrettanto dure e taglienti, come diamanti.
Quando i suoi genitori lo lasciarono a casa ad aspettare, mentre loro andavano a teatro, in un bagno di folla a farsi ammirare, Doc capì che non c'era speranza, per nulla. Non soffrì: ne prese atto, e accolse quel fatto come un qualsiasi altro dato.
Sprangò la porta, chiuse le finestre e le tende, fece a pezzi uno specchio e si addormentò di sopra, in veranda. Quello specchio ormai distrutto non l'aveva mai veramente riflesso.
Mentre Doc assiderava il compianto Florian, si poteva sentire il suo cuore creparsi e scricchiolare. Le bambole di porcellana lo guardavano mute dagli scaffali, come sempre belle e serenamente imperturbabili.
Solo quando sentì al telegiornale di una strana povera ragazza, che si era tagliata poco prima le vene nella farmacia di un supermercato, Doc decise di uscire. Prese solo i suoi soldi, e il cappotto, e in un tour degli ospedali trovò Munchies, addormentata con un po' di piastrine in meno nel Pronto Soccorso del Ghetto - così gli snob del suo palazzo chiamavano il quartiere del manicomio vecchio.
Munchies conobbe Doc quando riprese conoscenza, e Doc riprese vita quando conobbe Münchhausen - d'altronde non è cosa comune, incontrare una dama che si era salvata dall'annegare in una pozza tirandosi per i capelli.
La pozza, a quando dicono, era calda e rossastra.
Il giorno in cui i suoi gli chiesero una tregua, Doc accettò di rinchiudersi, e lasciar loro un po' di pace.
Gettò via le ortiche, i documenti falsi e le armi di cioccolato, e concesse alla vita degli altri del tempo senza di lui. Quel giorno in cui scomparve divenne l'eternità intera, e Doc non riuscì più a voler tornare fuori.
Non era il mondo in sé, lo splendido Creato - era chi lo inquinava, chi lo abitava, a turbarlo.
Doc non voleva avvicinarsi, né essere avvicinato, dall'animale sociale che aveva rifiutato.
Dal giorno di vacanza, alla vacanza perpetua.
Tutte le volte che gli accadde di uscire, Doc si stordì, sempre.
> Frammento tra le schegge di insano amore a puntate dedicate alla morbosa collaborazione tra Doc e Münchhausen, sul blog High Underground Priestess di Twisted White Snow.